APC, l’obiettivo per la vita: “Essere senza fare”

Porsi un obiettivo. Raggiungerlo.

Porsi un altro obiettivo. Raggiungerlo.

Trovarsi di fronte a richieste inaspettate. Sperimentare la sensazione di non sapere nulla.

Vedersi porre sfide coerenti coi propri obiettivi. Provare piacere puro.

Fin da piccolissima la persona APC vive percorrendo queste possibilità. E’ il suo modo, il suo mondo, la sua normalità. Riuscire nel fare, temere di non saper fare, amare le sfide, temere le sfide.

Il potenziale si manifesta e, come già detto, spesso trascina la persona, che si trova a realizzare risultati senza sapere come sia stato possibile.

Il mondo è un’offerta di possibilità che attraggono, ma in quel mondo la persona APC non si appoggia. Si attiva quando è attratta da qualcosa, poi, e prima, rimane in stand-by.

La base d’appoggio è se stessa, ma non è una base solida, perché l’idea di sé è fortemente legata a ciò che riesce a realizzare. E se non realizza nulla? E se fallisce?

Riuscire, raggiungere risultati eccellenti è una possibile trappola.

Riuscire in ciò che si fa è fantastico. Non sapere come ci si riesce terrorizzante. Come è possibile che abbia avuto successo se non sa neppure lei come ha fatto? Posta davanti alla domanda la persona APC non conosce la risposta e la fugge, perché quella domanda le parla della sua grande paura: scoprire di non essere affatto capace.

“E se non sono capace, chi sono?”

Forse l’interrogarsi fin da piccola su questioni esistenziali nasce dal bisogno della persona APC di cercare se stessa e non può che finire a cercare il senso del tutto.

Il tempo per analizzare la faccenda non c’è. Il tempo è immediatamente riempito dal cercare di raggiungere nuovi obiettivi o lasciato passare rimanendo nel limbo del non fare.

L’obiettivo primario è imparare ad Essere, comprendere che esisto anche se mi fermo, se smetto di inseguire risultati e, soprattutto, esisto e ho valore anche se fallisco.

È l’obiettivo della vita. L’unico che possa rendere liberi: poter scegliere se fare o non fare sapendo che in entrambi i casi si È.

È libera la persona che deve inseguire risultati per sfuggire al terrore di cadere, di non essere riconosciuta dagli altri, di non riconoscersi? La mia idea è che si possa solo rispondere no.

La libertà è legata al poter scegliere e alla consapevolezza di sé nel mondo.

Questa consapevolezza può essere coltivata già nei bambini. Sta all’adulto liberarsi dello sguardo che rimanda al bimbo che il suo valore è legato a ciò che realizza.

Tu vali perché sei.

Tu puoi scegliere chi essere, quando esserlo, come esserlo.

Tu puoi fermarti e cercare in te la base dalla quale partire.

Il fare nasce da ciò che la persona APC è e fa parte di lei, ma non è tutto ciò che lei è.

È l’adulto che deve per primo imparare a non farsi incantare da ciò che il bambino realizza. Come quando un prestigiatore riesce a far volgere lo sguardo dello spettatore per sviarlo dal trucco, così guardare il fare, e il non fare, della persona APC può far perdere il processo sottostante.

Il genitore si trova a dover imparare il difficile equilibrio fra assecondare il figlio nella naturale predisposizione a fare e offrirgli sostegno affinché riesca a stare in contatto con se stesso anche affrontando un senso di vuoto.

Il vuoto non è reale, è paura del vuoto. Solo affrontandola si può scoprire cosa nasconde e trovare a cosa appoggiarsi.

Per i bambini la base va costruita e sostenuta insieme ai genitori e agli insegnanti e man mano che crescono va abbandonata e lasciata abitare solo dal ragazzo ormai cresciuto.

Alcune persone possono dover affrontare questo percorso solo quando da adulte scoprono di essere APC. Il percorso può essere più ostico, molto dipende dalla storia personale e dalla vita presente.

Per alcune di loro la propria esistenza è soprattutto legata all’esperienza di ciò che sanno fare.

Altre diventano adulte senza aver trovato come dare forma alla propria propensione a fare e vivono in sospeso senza radici, senza aver toccato con mano le proprie potenzialità.

C’è sempre una via per imparare ad essere senza fare.

Meglio affrontare la paura del vuoto, che vivere in un limbo.

E quando lo si fa si può spiccare il volo.

 

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3 risposte a “APC, l’obiettivo per la vita: “Essere senza fare””

  1. Paradossalmente essere figliadi una APC che non sa di esserlo, che non si sa accettare e non sa fare i conti con le proprie emozioni e frustrazioni ti costringe a imparare a valuatarti per ciò che sei e non per ciò che fai. Perché ciò che fai non sarà mai la perfezione o come lo farebbe lei, di conseguenza valutandoti per ciò che fai sarai sempre sbagliato. Imparare da soli per sopravvivere.

    1. Gentile Cristina, lei solleva una questione molto interessante. Saper utilizzare le proprie risorse per affrontare le difficoltà della propria infanzia porta ad una consapevolezza di sé che altri non raggiungono. Ci sono molti modi per conoscere se stessi e le avversità rimangono un buon modo. Dipende da come scegliamo di attraversarle.

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